Autoconsumo, come affrontare il rischio di inasprire le bollette elettriche
Il dibattito sull’autoconsumo si sta animando: è stato l’oggetto dell’intervento del GSE alla X Commissione del Senato. È al centro delle preoccupazioni espresse da Luigi Michi di Terna (e non solo da lui) sugli effetti del conseguente meccanismo di incentivazione implicito, perché chi autoconsuma l’elettricità prodotta risparmia gli oneri di rete, aumentando quindi il carico sulle bollette degli utenti ancora allacciati alla rete. È importante iniziare a discuterne ora, in modo da disporre del tempo necessario per individuare una soluzione innovativa, che metta d’accordo capre e cavoli, perché gli obiettivi da realizzare entro il 2030 nel quadro del piano nazionale energiaclima aumenteranno in misura rilevantissima l’autoproduzione, aggravando, e non di poco, il problema. Pochi dati sono sufficienti per cogliere le dimensioni del cambiamento. Nel 2030 poco meno del 70% della produzione elettrica nazionale verrà da fonti rinnovabili, di cui una parte crescente sarà utilizzata all’interno di sistemi di distribuzione chiusi, in particolare per il prevedibile sviluppo delle comunità energetiche locali, favorito dalle norme introdotte nella nuova direttiva sulle rinnovabili (RED II).
A titolo d’esempio, il fotovoltaico da solo dovrà contribuire per più del 25% alla produzione elettrica del paese e, per minimizzarne sia l’impatto ambientale, sia i problemi del permitting, andrà prevalentemente realizzato sulle coperture degli edifici civili e industriali, dove una parte significativa dell’energia prodotta sarà autoconsumata. In più, un ruolo rilevante in termini di efficientamento energetico verrà svolto della cogenerazione su piccola-media scala, destinata a loro volta ad aumentare l’autoconsumo. Per avere un’idea delle dimensioni del cambiamento, oggi l’energia autoconsumata è poco meno del 10% dei consumi elettrici nazionali e solo per il 20% viene da fonti rinnovabili. Sarà quindi rilevante il calo dell’energia elettrica veicolata dalle reti tradizionali, che ciò nonostante dovranno essere potenziate, investendo in particolare nelle digitalizzazioni richieste per rendere adeguatamente flessibile la loro risposta ai problemi di esercizio posti dalla prevalenza della generazione verde.
Per di più, la RED II prevede fino al 2026 l’esenzione da qualsiasi onere di rete dell’energia autoconsumata da impianti FER di piccola scala (= 30 kW) e anche dopo la loro eventuale introduzione dovrà essere dettagliatamente giustificata. Con una simile prospettiva, non è pertanto pensabile di coprire il conseguente deficit di entrate per i gestori delle reti, inasprendo le tariffe per le utenze a loro direttamente connesse (per lo più industrie, spesso ad alto consumo di energia). Come redistribuirlo in modo equo tra la miriade di sistemi di distribuzione chiusi, soprattutto se quelli alimentati da impianti FER fino a 30 kW continuassero a esserne “ope legis” esclusi da qualsiasi onere? Alla fine, il nodo potrebbe rischiare di essere sciolto in modo gordiano, assimilando le reti elettriche alle reti stradali ordinarie, i cui costi d’investimento e di esercizio sono a carico della fiscalità generale. Con una non banale differenza: per far quadrare i conti del bilancio pubblico, si possono tagliare gli stanziamenti per la manutenzione delle strade e dei ponti, le cui ricadute negative saranno avvertite a medio-lungo termine, anche se talvolta (Genova docet) possono essere traumatiche.
Replicare il medesimo gioco con le reti elettriche rischia di lasciare il paese al buio. Una soluzione intermedia potrebbe prevedere un sistema misto di reti a carico del bilancio pubblico e di autostrade elettriche a pagamento, come ad esempio le super-reti che convogliano i flussi energetici provenienti dai grandi impianti eolici off-shore del mare del Nord, con le tariffe pagate dai produttori, che le caricheranno sul prezzo di vendita dell’energia. È quindi saggio evitare di dover prendere per le corna un toro diventato nel frattempo molto robusto, affrontando il problema subito, anche perché:
a) non sarà facile identificare meccanismi equi per tutte le parti in causa;
b) contestualmente andranno affrontate le questioni poste dalla moltiplicazione delle figure individuali e collettive abilitate a operare nella gestione del sistema elettrico, moltiplicazione che comporterà la parallela ripartizione delle responsabilità. 6 Per un sistema dove tutto si tiene, destinato a crescere in complessità all’aumentare del ruolo delle rinnovabili, diverrà molto più arduo individuare le responsabilità per un disguido, soprattutto se di grandi dimensioni.
Per quanto complesse, si tratta di questioni che possono trovare uno sbocco positivo, purché si segua il consiglio di Einstein: “Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”. Ad esempio, se coerentemente con le linee guida che si sono date, le utility optassero per la valorizzazione delle proprie competenze in materia di reti, offrendo alle comunità energetiche locali la realizzazione, per conto loro, della microrete e la sua successiva gestione, l’attuale preoccupazione per la perdita di ricavi si trasformerebbe in una prospettiva di business, Si può addirittura prefigurare un futuro, in cui siano le stesse utility a promuovere la costituzione di reti di autoproduzione e autoconsumo. Risolvendo in larga misura anche il problema delle responsabilità diffuse.
Fonte: Giovanni Battista Zorzoli – Staffetta Quotidiana