Sfida climatica per l’energia globale
Tutta la struttura dei prezzi dell’energia muoverà al rialzo nel 2018, grazie alla ripresa dei consumi, spinti dalla positiva congiuntura economica, con qualche difficoltà sui singoli mercati e con un rinnovato interesse da parte della finanza. Il leader petrolio, prima fonte dei consumi globali, raggiungerà la fatidica soglia dei 100 milioni barili giorno, livello superiore di 40 milioni a quelli degli anni 80 quando si dava per imminente la sua fine. Il prezzo medio del Brent nel 2017 è stato di 54 dollari, 10 dollari in più del 2016, ma ancora inferiore della metà di quello avutosi fra il 2011 e il 2014, quando i consumi mondiali erano più bassi di 9 milioni barili e nessuno ipotizzava che le quotazioni potessero scendere sotto i 100. O ci si sbagliava allora, o ci si sbaglia adesso. Il problema è l’enorme eccesso di offerta accumulato a partire dal 2014 che ancora pesa con le alte scorte. Ma a questo ci stanno pensando i produttori, quelli Opec più altri 10 guidati dalla Russia, i quali hanno deciso, da fine 2016, di ridurre la loro produzione, rispetto al picco dell’ottobre 2016, di 1,7 milioni barili giorno.
L’impegno, applicato sul 2017, è stato esteso, dopo l’accordo dello scorso 30 novembre 2017, a tutto il 2018 e, seppur con qualche difficoltà, è destinato a tenere. Il recupero dei prezzi, tuttavia, non sarà veloce come sperato dai produttori, un po’ per le alte scorte, un po’ perché la produzione al di fuori del gruppo sale, in particolare quella da fratturazione degli Usa. Questa è già a 9,8 milioni barili giorno, 1 in più rispetto ad un anno fa, oltre i picchi del 2015 prima del crollo dei prezzi e anche nel 2018 crescerà di un altro mezzo milione. Complessivamente l’offerta non Opec salirà di 0,8 milioni barili giorno, mentre la domanda dovrebbe segnare un aumento di 1,4 milioni che, dando per scontato la stabilità della produzione Opec, determinerà una riduzione delle scorte e maggiore equilibrio con prezzi di nuovo oltre i 70 dollari. Tutto dipende dal grado di rispetto degli accordi, ma su questo si può essere ottimisti. I rapporti fra Arabia Saudita e Iran, sempre decisivi sul prezzo del barile, per quanto difficili, oggi convergono, in quanto entrambi hanno urgente bisogno di alte entrate da petrolio. L’irrequieto giovane leader saudita Mohamed Bin Salman non può permettersi bassi introiti che aggraverebbero il già diffuso malcontento causato dalle sue bizzarre riforme e dalle sue purghe mirate.
L’Iran, alle prese con una nuova ondata di proteste per gli aumenti dei prezzi, ha i consueti problemi economici, con una popolazione che cresce e che è sempre più giovane. La grande novità è l’asse fra Opec e Russia, grazie al fatto che Mosca è diventato grande protagonista militare e politico in Medio Oriente. Il suo taglio alla produzione di 0,3 milioni barili giorno è poco, ma sta bloccando, non senza problemi, progetti di nuovi giacimenti.
Lo scorso 8 dicembre 2017 il ministro del petrolio saudita al-Falih, vero regista delle strategie Opec e, per fortuna, saggio consigliere di Mohamed Bin Salman, ha presenziato l’inaugurazione di Putin a Yamal del nuovo grande terminale di esportazione di gas naturale liquefatto (Gnl) dal Mar Artico in Siberia Occidentale. Il cambiamento climatico, in questo caso, fa bene, perché dovrebbe rendere possibile la navigazione dell’Artico e facilitare le esportazioni di gas con navi dalle enormi riserve russe della Siberia. Il progetto, sotto sanzioni occidentali contro la Russia, è stato realizzato con l’intervento fondamentale della Cina che sta rafforzando i suoi legami con Mosca proprio per importare il più pulito combustibile.
L’obiettivo russo è diventare un grande protagonista del futuro mercato del Gnl, quello che forse un giorno soppianterà il petrolio, cercando di raggiungere il Qatar, che oggi esporta circa 100 miliardi di metri cubi di gas all’anno, contro i 14 della Russia. I prezzi del Gnl in Asia, dopo un paio di anni di valori depressi sotto i 20 centesimi di euro per metro cubo, sono tornati a 30, valore ancora di molto inferiore rispetto ai picchi di 50 del 2013. Tuttavia la domanda asiatica, e quella cinese in particolare, spinge e assorbe anche i carichi dagli Usa, il vero grande nuovo protagonista del mercato del Gnl. Le ragioni che spingono sulla produzione di petrolio degli Usa, sono le stesse per il gas i cui bassi prezzi giustificano progetti di terminali di esportazione, come quello di Sabine Pass in corso di completamento. Anche gli Usa presto avranno una capacità di esportazione dell’ordine di 100 miliardi di metri cubi e ciò dovrebbe favorire maggiori consumi di gas a livello globale. L’energia globale è sempre dominata dalla questione climatica e la penetrazione del gas nella generazione elettrica sarà il principale strumento di contenimento delle emissioni di CO2. Ben vengano i progetti americani e quelli russi, aiutati dai cinesi e dai sauditi, realizzati sempre dalla grande industria degli idrocarburi.
Fonte: Davide Tabarelli – Il Sole-24 Ore