Ora legale, risparmio energetico o danno per la salute?
Un miliardo e 435milioni di euro dal 2004 al 2017. Tanto vale il minor consumo di elettricità in Italia per effetto dell’ora legale, secondo gli ultimi dati forniti da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale. Il tema del risparmio energetico nei mesi primaverili ed estivi è tornato alla ribalta dopo che a inizio febbraio un gruppo di eurodeputati ha proposto l’abolizione del cambiamento semestrale dell’ora. Non è passata. Ma è passata la richiesta di avviare una valutazione della direttiva comunitaria che regola l’alternanza tra ora legale e solare nella Ue. Le motivazioni che i sostenitori dell’abolizione portano sono di vario ordine, ma soprattutto sostengono che lo shift in avanti avrebbe ripercussioni sulla salute, sul bioritmo umano.
Nata per far favorire il risparmio energetico in tempi di crisi, come durante la Seconda guerra mondiale, in Italia l’ora legale è stata adottata definitivamente a partire dal 1966. A livello energetico, rileva Terna, nel nostro Paese negli ultimi 14 anni ha permesso di risparmiare 8 miliardi e 540 milioni di kilowattora. Che corrispondono al fabbisogno energetico annuale di una regione come la Sardegna, per avere un metro di paragone.
Prendiamo il 2017: 567 milioni di kilowattora risparmiati, corrispondenti a 320mila tonnellate in meno di CO2 emesse in atmosfera. Dal momento che un kilowattora è costato in media al cliente domestico 19,5 centesimi di euro, il risparmiocomplessivo è stato di 110 milioni di euro.
Analizzando la progressione del risparmio degli ultimi anni, si può notare come da un picco del 2011 – 647 milioni di kWh – si è scesi a 550 milioni nel 2015, fino ai 567 del 2017. Perché? “Il fabbisogno nazionale è cambiato molto di anno in anno per effetto della crisi economica”, puntualizza Maurizio Delfanti, docente di Smart grid and regulation al Politecnico di Milano. I consumi non sono ancora tornati a essere quelli precedenti il 2008.
Esiste uno studio dell’Università della California che sostiene che il cambio dell’ora non comporterebbe vantaggio a livello energetico, perché l’utilizzo massiccio dei condizionatori inciderebbe non poco sul reale risparmio. Si tratta di una ricerca portata avanti dieci anni fa, nel 2008. Ha monitorato alcune famiglie nello stato dell’Indiana, decretando che i consumi non solo non sarebbero diminuiti, ma avrebbero segnato una crescita tra l’1% e il 4%, a seconda del mese preso in esame, con aumento in bolletta di 9 milioni di dollari all’anno.
Non ci sono stime che indaghino quanto impattino i condizionatori in Italia, ma certamente la loro diffusione negli ultimi anni è stata capillare, anche grazie al fatto che sono sempre più economici. Delfanti fa notare però come la situazione varia molto da paese a paese. “Prendiamo come esempio l’Italia e la California. Le temperature sono differenti, il modo di condizionare degli americani è diverso. E poi in Usa i costi energetici sono molto bassi”. Fermo restando che negli anni sono gli stessi condizionatori a essere diventati più efficienti. E poi “in Italia noi sfruttiamo maggiormente le rinnovabili: circa la metà dell’energia che usiamo per far funzionare i condizionatori viene da fonti rinnovabili”. Risultato: ci raffreddiamo (in parte) anche con l’energia elettrica che è prodotta proprio dal sole. Senza contare che secondo le direttive europee, i nuovi edifici “vanno costruiti a energia zero – prosegue Delfanti – devono produrre tutta l’energia che consumano su base annua. Attenzioni che gli americani non hanno”.
Fonte: Caterina Maconi – La Repubblica