Nessun impianto è per sempre, neanche quelli fotovoltaici

I dati sul peggioramento delle prestazioni, il deterioramento degli impianti realizzati nel 2011-12, l’importanza di mantenere un parco efficiente e la necessità di investire in manutenzione

Detto così può sembrare banale, ma il continuo confronto nel settore energetico fra fonti fossili che, per definizione, finiranno, e fonti rinnovabili che, sempre per definizione, saranno sempre disponibili, rischia di portaci fuori strada. Infatti “sappiamo” che, lasciando da parte la loro fine, l’uso delle fonti fossili rischia di riportare la Terra a condizioni non compatibili con la vita degli umani, così come “sappiamo” che gli impianti che utilizzano le fonti rinnovabili hanno una loro vita utile piuttosto breve, vuoi per il fatto di non essere mature (quindi il potenziamento dopo un certo periodo è spesso più conveniente del semplice adeguamento), vuoi perché la loro gestione non è sempre ottimale.

Allora la domanda su quanto durerà la vita utile di un impianto fotovoltaico non è banale, anzi, se dobbiamo prepararci ad affidare a questi impianti il mantenimento delle nostre condizioni di vita nei prossimi decenni, diventa uno dei parametri dei quali tenere conto. Tanto più che al momento il fotovoltaico non è interessato dal potenziamento/rifacimento degli impianti, tema che si presenterà più avanti negli anni. Guardiamo qualche numero per quantificare il tema, utilizzando i dati del Gse che gestisce gli incentivi del Conto energia al fotovoltaico, così come sono riportati nel Rapporto Statistico 2016 alle pagine 39 e 40. Nelle pagine citate si riportano le ore equivalenti di funzionamento alla potenza nominale, anno per anno, regione per regione, dal 2011 al 2016. Non
sono riportati dati sull’insolazione quindi i dati non sono corretti per le variazioni climatiche (nel 2017 molto soleggiato la generazione fotovoltaica è salita dl 10%!) quindi i confronti sono caratterizzati da una certa incertezza sulle cause dell’andamento delle prestazioni.

Una tabella tratta i 3.600 MW già attivi al 31 dicembre 2010, quindi con un confronto più o meno a parco di generazione costante. Nel confronto 2011-2016 (5 anni) la produzione è calata mediamente dell’11%, con valori abbastanza vicini, dal 7% del Molise al 17% dell’Umbria. Gli impianti più produttivi sono quelli del Lazio, partiti più alti di Puglia e Sicilia e, nonostante la latitudine maggiore, rimasti superiori in termini di prestazioni; probabilmente è l’effetto degli impianti a terra, come il grande campo di Montalto di Castro, ben monitorati e gestiti, e di un’alta presenza di impianti a inseguimento. In ogni caso il decadimento medio annuo rilevato è poco inferiore al 2%, valore che appare ragionevole. Provando a destagionalizzare i dati considerando l’insolazione di Roma (dati JRC) si ottiene per il Lazio una prestazione in calo del 6%, che conferma la buona prestazione del parco.

L’altra tabella riporta invece i dati degli impianti in esercizio da almeno un anno, al fine di escludere quelli con produzione parziale. In questo caso sono conteggiati anche gli impianti realizzati dopo il 2010, evidentemente, di cui la stragrande maggioranza realizzata fra il 2011 e il 2012. Il decadimento medio rilevato è del 13%, con il caso limite del Lazio col 21% e dell’Emilia-Romagna e del Friuli al 16%. Considerando il minore intervallo temporale, circa 4 anni, su cui agiscono i nuovi impianti e l’andamento di quelli pre-2010, si ha un decadimento medio annuo del 3%. Destagionalizzando il dato per il Lazio adottando l’insolazione di Roma la situazione migliora leggermente, ma si ottiene comunque un 16% di peggioramento della prestazione. Ovviamente, alla luce del dato conseguito dagli impianti pre-2010, ciò comporta una prestazione degli altri impianti ben peggiore di queste percentuali.

Gli impianti entrati in esercizio dopo il 2010, dunque, presentano producibilità più basse di quelli precedenti, e non solo per il Lazio, per cui viene naturale collegare questa situazione o con una scarsa qualità dell’installazione dovuta alla fretta degli installatori di poter rientrare nelle scadenze temporali dei meccanismi di incentivazione, o con una partita di componenti e accessori a basse prestazioni o di bassa qualità, o con una manutenzione inadeguata, o infine con una combinazione di questi effetti. Queste prestazioni insoddisfacenti suggeriscono una maggiore attenzione al monitoraggio delle prestazioni degli impianti, per comprendere quali elementi hanno portato ai risultati conseguiti e se e come migliorare la situazione. È dunque auspicabile che il Gse possa fornire maggiori informazioni sull’andamento delle prestazioni degli impianti nel tempo, possibilmente distinte per taglia, oltreché per regione. Sarebbe anche utile, agendo su un campione di impianti rappresentativi, offrire tale andamento destagionalizzato, in modo da meglio comprendere le dinamiche e assicurare una prestazione elevata negli anni.
È inoltre indubbio che una migliore manutenzione possa portare a ottimi risultati. Il progetto pilota realizzato dal Gse nel 2017, basato sulle scienze comportamentali e sull’informazione a due gruppi di proprietari di piccoli impianti dell’andamento insoddisfacente delle prestazioni degli stessi, ha del resto dimostrato che si possono conseguire ottimi risultati con un’idonea manutenzione (4% di incremento della produzione in quel caso). Per gli impianti sopra il MW, che in genere godono di maggiore attenzione da parte dei gestori, è disponibile la piattaforma performance impianti realizzata dallo stesso Gse. Strumento che sarebbe utile estendere, opportunamente adattato, ai piccoli impianti, che più ne hanno bisogno.

Investire in queste attività avrebbe un senso, perché questi impianti non hanno ormai un interesse solo per il singolo proprietario, che può beneficiare economicamente mantenendo un livello prestazionale elevato, ma anche generale, avendo un peso crescente nel parco di generazione e nella potenza erogata quotidianamente.

Fonte: Giuseppe Tomassetti e Dario Di Santo – Staffetta Quotidiana