La rivoluzione digitale punta all’energia

Ci sono, al mondo, più cellulari che persone

Un dato di fatto che sta portando conseguenze in tutti gli ambiti del vivere: dal modo di relazionarsi al modo di lavorare, al modo di offrire beni e servizi. Quest’ultimo è un aspetto che tocca, ormai indistintamente, tutti i settori economici, e non ultimo quello energetico. È proprio questo l’oggetto dell’ultimo rapporto dell’International Energy Agency (IEA), pubblicato lo scorso 5 novembre: la digitalizzazione nell’energia.

Nel settore oil & gas, secondo le stime, l’ampio utilizzo delle tecnologie digitali potrebbe ridurre i costi di produzione di un 10%-20%; nel settore elettrico, l’impatto potrebbe essere pari a circa il 5% dei costi di generazione elettrica totali (un risparmio, cioè, di circa 80 miliardi di dollari l’anno), impatto che passa per un contenimento dei costi operativi e di manutenzione, un miglioramento degli impianti di produzione e dell’efficienza di rete, una riduzione sia delle interruzioni non programmate che dei periodi di inattività degli impianti e da una maggiore vita utile degli asset. Più modesti gli effetti benefici nel comparto del carbone, sebbene le tecnologie digitali vengano sempre più impiegate nella modellazione geologica, ottimizzazione dei processi, automazione, manutenzione predittiva e nel miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Ma il maggior potenziale della trasformazione digitale resta, tuttavia, la sua capacità di abbattere i confini tra i vari settori energetici – ed i loro attori – aumentando la flessibilità e consentendo una vera e propria integrazione tra interi sistemi. Il settore elettrico, in particolare, è al centro di questa trasformazione epocale: qui la digitalizzazione sta praticamente dissolvendo la tradizionale distinzione tra generazione e consumo. E allora, come cambieranno – o stanno già cambiando – i mercati elettrici? Quattro sono le maggiori tendenze rilevate:
1) Il cosiddetto smart demand response che – sempre secondo i calcoli della IEA – ammonterebbe a circa 185 GW di
flessibilità del sistema (per intenderci, l’attuale capacità installata di Italia e Australia insieme), che farebbero risparmiare ben 270 miliardi di dollari di investimenti che sarebbero invece necessari per creare nuova capacità di energia elettrica.
2) L’integrazione delle fonti rinnovabili variabili, garantendo un miglior match tra offerta e domanda di energia: si stima che, da qui al 2040, si possano evitare ben 30 milioni di tonnellate di emissioni di diossido di carbonio.
3) Lo sviluppo di tecnologie di ricarica smart per i veicoli elettrici, che può ulteriormente favorire la flessibilità della rete – andando a migliorarne la gestione dei periodi di carico – e questo consentirebbe di evitare investimenti in nuove infrastrutture (altrimenti necessari) per un totale che va dai 100 ai 280 miliardi di dollari.
4) Lo sviluppo di risorse energetiche distribuite, quali storage e pannelli fotovoltaici domestici, grazie ai maggiori incentivi e la maggiore semplicità per il produttore a immagazzinare ed immettere in rete l’energia elettrica in eccesso – in questo, i nuovi strumenti, quali ad esempio la blockchain, aiutano decisamente lo scambio peer-to-peer all’interno delle comunità energetiche locali.

E passiamo, quindi, agli aspetti negativi. O, perlomeno, critici.
Il primo da considerare è la maggiore vulnerabilità cui la digitalizzazione espone i sistemi energetici. Gli attacchi cibernetici, ad oggi, hanno causato tutto sommato ancora pochi danni, ma stanno diventando via via sempre più facili (ed anche economici) da organizzare. Se una prevenzione totale non è realisticamente possibile, è però importante che le imprese – ma anche gli Stati stessi – siano preparati a questa minaccia, ed il primo vero passo è la consapevolezza del rischio.
Aspetti di un certo rilievo sono anche i temi legati alla privacy e alla proprietà del dato. Se da un lato, infatti, raccogliere dati sui consumi energetici delle famiglie svela molti aspetti della vita quotidiana delle persone – con i conseguenti rischi che ne derivano – dall’altro lato, tali dati (opportunamente aggregati ed anonimizzati) possono aiutare a capire i singoli profili di carico e dunque aiutare i consumatori a contenere la spesa energetica. È evidente che un intervento dei policy maker si rende necessario al fine di bilanciare questi due effetti. Non è certamente facile definire una roadmap, ma la IEA dà qualche suggerimento, fornendo 10 possibili azioni di policy che potrebbero aiutare i governi:

1) Dotare il proprio staff della necessaria expertise digitale
2) Assicurare un appropriato accesso ai dati
3) Rendere le politiche governative sufficientemente flessibili da accogliere le nuove tecnologie
4) Sperimentare, anche attraverso progetti pilota “learning by doing”
5) Prender parte alle discussioni di maggior rilievo sul tema della digitalizzazione
6) Focalizzare la propria attenzione sui più ampi benefici di sistema che la digitalizzazione comporta
7) Monitorare gli impatti della digitalizzazione sulla domanda energetica complessiva
8) Costruire una resilienza digitale e far sì che questa entri a far parte anche dei processi di R&S
9) Garantire un terreno di gioco alla pari così da stimolare un adeguato livello di concorrenza tra le imprese
10) Imparare dalle esperienze di altri Paesi.

Fonte: Giusy Massaro – I-Com Blog