La mannaia della Commissione UE sugli aiuti alle imprese energivore

La revisione della Commissione UE degli elenchi attività economica ammessi agli incentivi prende nel mirino numerosi settori manifatturieri italiani ad alta intensità energetica.

Grande preoccupazione in vasti settori del manifatturiero italiano sta destando la proposta di revisione degli “Aiuti di Stato a favore del clima, dell’energia e dell’ambiente”, che – presentata dalla Commissione europea il 7 giugno scorso – è attualmente in fase di consultazione sino al 2 agosto prossimo: nelle sue linee ispiratrici, essa doveva prevedere “l’ampliamento dell’ambito di applicazione degli aiuti di Stato, al fine di consentire il sostegno a nuovi settori e a tutte le tecnologie in grado di contribuire all’attuazione del Green Deal, incluso il sostegno alle energie rinnovabili”.

A prima vista il documento in consultazione appariva essere estensivo e pienamente in linea con i virtuosi obiettivi di contenimento delle emissioni, a sostegno alle attività energivore orientate a migliorare i propri sforzi di efficienza energetica e contenimento delle emissioni.

Il processo di consultazione messo in moto dalla Commissione europea è peraltro estremamente rapido, con l’obiettivo di arrivare all’adozione della nuova disciplina entro la fine del 2021.

A una lettura più approfondita del documento, appare tuttavia evidente come gli incentivi di riduzione della componente parafiscale destinata alle aziende cosiddette “energivore” vengano compressi, quantomeno nel numero dei settori industriali che possono beneficiare dello sconto della cosiddetta componente Asos in bolletta elettrica. In allegato al documento in consultazione, infatti, è stato proposto un nuovo assai ridotto elenco dei codici ATECO che potranno beneficiare della riduzione dell’onere in bolletta, laddove dotati dei requisiti di energivorità.

Attualmente (anno 2021), sono oltre 3250 le aziende italiane che beneficiano di queste importante contributo, numero al quale si aggiungono 400 ulteriori imprese in fase di istruttoria: queste aziende sono le cosiddette rispondenti ai requisiti del D.M. 21 Dicembre 2017, il quale ricomprendeva le aziende a codice ATECO citate nell’Annex 3 delle Linee Guida CE ovvero nell’Annex 5 delle Linee Guida CE con elettro-intensità energetica non inferiore a 20% e consumi elettrici superiori a 1 GWh/anno.

Il medesimo Decreto del Dicembre 2017, inoltre, conteneva la cosiddetta fondamentale “clausola di grandfathering”: consentiva cioè di restare nell’elenco delle aziende beneficiarie alle imprese già incluse negli elenchi delle aziende a forte consumo di energia elettrica negli anni 2013-2014.

Orbene, se il Decreto del 21 Dicembre 2017 consentiva l’accesso alla clausola di energivorità a 221 codici ATECO, il nuovo elenco – come desumibile dal documento di Consultazione della Commissione europea appare essersi ridotto a soli 51 codici (oltre il 75% in meno). Gli aiuti previsti sarebbero infatti limitati ai soli settori che presentano uno svantaggio competitivo e rischio di delocalizzazione al di fuori dell’Unione. Un rischio di delocalizzazione che è stato dalla Commissione rideterminato in funzione dall’intensità elettrica del settore e la sua esposizione al commercio internazionale. In sostanza, dal 2022 l’aiuto agli energivori può essere concesso solo se l’impresa appartiene a un settore che presenta un’intensità commerciale di almeno il 20% nell’Unione e un’intensità elettrica di almeno il 10%. A fare le spese di questa riduzione dell’ambito di applicazione della “clausola energivora” sono in particolare molte aziende operanti nel settore metalmeccanico e plastico (queste ultime peraltro già prese di mira da altre concomitanti discipline restrittive (come ad esempio la direttiva Single Use Plastic, in vigore dal 3 luglio scorso e mal digerita dal settore italiano della plastica monouso).

I diversi portatori di interesse delle imprese manifatturiere sono ovviamente in fibrillazione in queste settimane, e stanno sottoponendo osservazioni correttive (quali ad esempio il mantenimento di una “grandfathering clause” analoga a quella del Decreto 2017) che quanto meno mitighino nel tempo l’effetto penalizzante della nuova Direttiva: questa – se fosse posta in atto secondo il suo schema originale – rischierebbe davvero di dare una mazzata finale ad ampi settori del manifatturiero italiano, eccellenti sui mercati europei. I quali sarebbero dal 2022 gravati da oneri presumibilmente insostenibili nell’acquisto di energia elettrica, il tutto nel corso di una ripresa post-Covid che stenta ancora a prendere forza. Il rialzo del costo di acquisto dell’elettricità infatti per i settori di attività economica esclusi sarebbe ben oltre la doppia cifra, con incrementi in taluni casi superiori al 40% del costo unitario del kWh.

 

Renato Ornaghi

Energy Saving Spa