Infrastrutture, sì o no? Cosa svela la questione TAP

La questione fondamentale connessa alle infrastrutture non è se costruire o no, ma cosa costruire e come

La questione fondamentale connessa alle infrastrutture non è se costruire o no, ma cosa costruire e come. Le
infrastrutture sono vitali sia per la nostra economia che per la sicurezza delle persone. E l’economia e la sicurezza di questo secolo dipenderanno in maniera sempre maggiore dalla capacità di gestire i cambiamenti climatici in atto e quelli futuri. Questo è uno dei messaggi fondamentali che è emerso dal recente rapporto dell’ONU sugli impatti dei cambiamenti climatici. Ora sappiamo che abbiamo meno tempo di quanto pensassimo e che le azioni di oggi non saranno sufficienti per gestire la sfida in modo sicuro. Senza un cambio di rotta immediato e senza precedenti rischiamo di surriscaldare il pianeta fino a 3°C in più rispetto all’era pre-industriale, il doppio di quanto la comunità scientifica reputa sicuro. Di questo passo, la soglia di sicurezza di 1,5°C può essere raggiunta già nel 2030.

Per questo, ogni nuova infrastruttura non può più prescindere dalle emissioni che genererà e da standard di resilienza tali da resistere agli impatti dei cambiamenti climatici che già oggi si manifestano e che diventeranno sempre più violenti. Inoltre, gli investimenti in nuove infrastrutture saranno utili solo se ci sarà una domanda in grado di ripagare l’investimento.
Questi criteri devono essere utilizzati nelle valutazioni che precederanno la costruzione di nuove infrastrutture e
l’investimento di ingente capitale politico ed economico. Tutto questo vale anche per il gasdotto TAP. Il rapporto dell’ONU, in sostanza, mostra che non c’è più spazio per nuovo gas fossile se vogliamo limitare l’incremento della temperatura a livelli più sicuri e gestibili possibili. La sua combustione, infatti, deve scendere a livello mondiale del 25% entro il 2030 e del 74% entro il 2050 rispetto al 2010. Se fino ad ora abbiamo considerato il gas come “combustibile ponte” per la transizione energetica, la comunità scientifica suggerisce che siamo arrivati alla fine di quel ponte.

Per quanto riguardo la domanda futura di gas, le prospettive sono in calo. La Strategia Energetica Nazionale, varata alla fine del 2017, stima un calo dei consumi di gas del 10% al 2030 e un calo ancora più deciso al 2050. Già oggi i consumi sono in calo strutturale – al livello dei primi anni 2000 – trainati in primis dal contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili. La crisi economica ha giocato un ruolo importante ma, come mostrato da nuovi studi, la crisi ha avuto un effetto secondario rispetto all’efficienza energetica che, tra il 2005 e il 2017, ha generato risparmi per 3,5 miliardi di euro dall’importazioni di fonti fossili ed evitato l’emissione di 34,9 milioni di tonnellate di CO2.
La spesso invocata sicurezza energetica è un elemento fondamentale per la nostra economia ma deve essere gestita in modo diverso cioè da non compromettere la stabilità del clima. Analisi indipendenti mostrano che le infrastrutture esistenti a gas in Italia e in Europa (come gasdotti e rigassificatori) sono già sufficienti a garantire la sicurezza energetica del sistema. La diversificazione delle fonti, in particolare la riduzione della dipendenza dal gas russo, è un aspetto fondamentale della sicurezza energetica e della nostra politica estera, a patto però che ciò non crei nuova dipendenza da gas fossile e da regimi autoritari e corrotti.

Una diversificazione alternativa dei volumi del gas russo, più sicura e sostenibile, è possibile. Più che di nuovi gasdotti c’è bisogno di una decisa accelerazione dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili, della rete elettrica (nazionale e con i nostri vicini), dei sistemi di stoccaggio e dei sistemi intelligenti di gestione della domanda. Questi investimenti permetteranno di ridurre ulteriormente il bisogno delle importazioni di gas e le bollette dei consumatori, di creare nuovi posti di lavoro e una filiera industriale locale, riducendo l’inquinamento ambientale. Queste sono le infrastrutture di cui l’Italia avrebbe veramente bisogno.
Questo nuovo approccio al clima, l’energia e la politica estera dovrebbe diventare parte fondamentale del nuovo progetto politico che il Partito Democratico mira a costruire. Con un pizzico di quel coraggio e pragmatismo con cui i Verdi hanno vinto in Baviera. Riconoscere che un nuovo corso su questi temi è necessario rispetto alle decisioni del passato è fondamentale: solo così si potrà ristabilire la credibilità e offrire ai cittadini un modello economico e sociale nuovo, più sicuro, sostenibile, prospero ed equo.

Fonte: Luca Bergamaschi – La Stampa