Dispacciamento, informazioni essenziali
L’Autorità di settore ha pubblicato le prime nove richieste di restituzione a operatori della domanda e/o di centrali non abilitate, su un centinaio di casi in tutto. Ieri sera invece sono usciti gli impegni di Enel nel procedimento Antitrust sul “lato offerta”, che dovrebbe chiudersi a fine maggio. Il gruppo ha presentato proposte che mirano a rimuovere le preoccupazioni dell’Agcm su due punti, l’imposizione di “prezzi eccessivi” e la natura della centrale di Brindisi di “fornitore obbligato” di servizi per Terna sul mercato del dispacciamento (MSD), fattori alla base del sospetto abuso.
Per smettere di risultare indispensabile su MSD, il gruppo si impegna a offrire sul mercato del giorno prima ai soli costi variabili due gruppi dell’impianto, salvo ciò comporti una perdita economica. Sul primo punto, l’impegno è in ogni caso a imporre un tetto ai ricavi della centrale, significativamente inferiore ai costi che le verrebbero riconosciuti nel regime regolato c.d. delle unità essenziali per la sicurezza del sistema elettrico. Così facendo rinuncerebbe non solo a margini aggiuntivi ma a perfino a una completa copertura dei costi, insomma lavorerebbe in perdita. Il giudizio sulla proposta spetterà ora all’Antitrust che al termine della consultazione degli operatori raccoglierà le ultime controdeduzioni Enel entro inizio maggio e quindi andrà alla decisione finale se accogliere, modificare o respingere gli impegni. Tuttavia qualunque sarà l’esito finale e per la verità indipendentemente dallo stesso caso specifico, la vicenda richiama l’attenzione su un problema più generale e più volte rilevato su queste pagine: l’assenza di trasparenza sul regime delle unità essenziali.
Gran parte della proposta di Enel, a ben guardare, si regge sull’assunto che la quantificazione dei costi per le unità essenziali, che rappresentano ancora una quota fondamentale del sistema elettrico nazionale, sia adeguata. Costi “per definizione equi e non eccessivi” li chiama Enel negli impegni, ricordando che l’obiettivo della regolazione sottostante (delibera 111/06) è “la minimizzazione degli oneri per il sistema”, che li sostiene attraverso un corrispettivo di 1,4 €/MWh a carico da ultimo dei consumatori. E naturalmente tutto fa ritenere che sia così. L’unico problema però è che non c’è modo di verificarlo. Perché le grandezze decisive, relative ai singoli impianti, sono tenute riservate al pubblico (non all’Antitrust, ndr). Il motivo, spiegano fonti vincine alla materia, è che il regime di essenzialità è per definizione transitorio e una piena pubblicità metterebbe in mano ai concorrenti le più minute strutture di costo degli impianti, creando uno squilibrio informativo nel momento in cui tornassero in regime di mercato.
Un argomento senza dubbio valido. Che però non risolve il problema. Lo status di essenzialità o meno in questi anni ha fatto spesso la differenza nei bilanci di molte utility. E la definizione dell’elenco degli impianti essenziali è sistematicamente soggetta pressioni per inserire questa o quella unità. Perché tanto interesse a lavorare senza guadagnare? L’essenzialità continua a essere una zona d’ombra del sistema: raro caso di regime amministrato, finalizzato a una funzione di interesse pubblico (la sicurezza) il cui costo viene socializzato ma di cui al consumatore non è data la possibilità di controllare la congruità. Si può solo fidarsi. Di soggetti istituzionali e competenti, come l’Autorità e Terna, certo. Ma pur sempre fidarsi.
Fonte: Staffetta Quotidiana