Borsa elettrica: hanno ammazzato il gas, il gas è vivo

 L’analisi trimestrale del Rie

Per il mercato elettrico l’ultimo trimestre del 2016 è stato nel segno della generazione a gas: netto incremento di produzione, vendite e margini di generazione soprattutto in zona Nord, trainati dai problemi del nucleare francese. Un buon risultato – si legge nell’analisi trimestrale di Borsa di Rie, che esce oggi in una versione rinnovata e ampliata a cura di Stefano Clô (Rie e Università degli studi di Milano) – e il segno di una niente affatto perduta centralità nel sistema elettrico. Per una fonte che negli ultimi anni ha perso volumi, margini e quote di mercato. Ma anche un riscatto, aggiunge l’autore, per i mercati “energy only”, considerati non più adeguati al nuovo contesto del settore. A coloro pronti a dare l’estrema unzione alle fonti tradizionali, fiduciosi nella transizione verso un sistema 100% carbon free, converrebbe tenere bene a mente le vicende che hanno contraddistinto il mercato elettrico nell’ultimo trimestre del 2016. Se una cosa può, infatti, insegnarci la vicenda del nucleare francese, questa è l’importanza del gas, la cui flessibilità risulta tanto strategica quanto irrinunciabile in un mercato sempre più interconnesso e soggetto al rischio di effetti domino a cascata.

Nel 2016, il mercato elettrico ha mostrato un andamento fortemente ribassista, registrando in aprile un PUN medio di 32 €/MWh, valore più basso dall’avvio della borsa elettrica italiana nel 2004. Fino a settembre, in tutti i mesi del 2016 si sono registrati prezzi inferiori ai rispettivi mesi del 2015, principalmente a causa del calo sia dei consumi che dei prezzi del gas. A partire da ottobre, e per tutto l’ultimo trimestre del 2016, si è invece assistito a un inatteso rialzo. Chi, fino a pochi mesi prima, avrebbe mai scommesso su un PUN medio giornaliero di 80 €/MWh (registrato il 15 novembre 2016), con un picco di 150 €/MWh (ore 19 del medesimo giorno)? Nel Q4 2016, la borsa ha registrato un prezzo medio di 56 €/MWh, 3 euro in più rispetto a quanto registrato nello stesso trimestre del 2015 (+6%). Questo differenziale potrebbe non sembrare significativo, ma è un’enormità se rapportato al – 16 euro registrato nel Q3 2016 rispetto al Q3 2015.

Driver principale di questo rilancio è stata la temporanea indisponibilità di circa un terzo delle centrali nucleari francesi, in buona parte chiuse per test di sicurezza ordinati dall’Autorità francese di vigilanza sulla sicurezza del nucleare (ASN). A ciò si è aggiunta il blocco temporaneo di alcune centrali nucleari svizzere imposto dall’Ispettorato federale della sicurezza nucleare; l’acuirsi di temperature particolarmente rigide e inferiori rispetto alle medie registrate nel 2015 e, come vedremo, un incremento dei prezzi del gas. Il blocco del nucleare francese ha avuto ripercussioni su tutte le principali borse europee, a dimostrazione della sempre più significativa interconnessione dei mercati, voluta nel 2009 dal terzo pacchetto energia e finalizzata alla creazione di un mercato europeo dell’energia elettrica “aperto, integrato e competitivo tra gli Stati membri” (Direttiva 2009/72/CE). Se nel Q4 2016, il PUN è aumentato del 37% rispetto al Q3 2015, in Austria Germania e Spagna si osserva un simile incremento dei prezzi, rispettivamente del +31%, +33% e +35%, mentre in Svizzera e in Francia i prezzi sono letteralmente 11 esplosi, con un incremento del +82% e del +85% (year on year basis). Che i prezzi francesi e svizzeri registrino valori superiori al PUN italiano è evento davvero eccezionale.

La riduzione della potenza disponibile ha causato nel Q4 2016 una riduzione del 70% dell’import dalla Francia (sia rispetto al Q4 2015 che al Q3 2016) e un incremento dell’export di vendite dalla zona Nord verso la Francia. Minori importazioni e maggiori esportazioni hanno comportato una forte contrazione del saldo importazioni nette, che negli ultimi tre mesi del 2016 arrivano a coprire il 5% del mix energetico nazionale, 3 punti percentuali in meno del terzo trimestre 2016, ma ben 13 punti percentuali in meno rispetto al Q4 2015. La riduzione del saldo netto import-export con la Francia si è tradotto in un aumento delle vendite nazionali sul MGP, pari a 68,5 TWh nel Q4 2016: 4% in più rispetto allo stesso trimestre del 2015. Un aumento in larga parte coperto dagli impianti a gas localizzati nella zona Nord. Nel dettaglio, nell’ultimo trimestre del 2016 la zona Nord ha registrato il 48% delle vendite nazionali in esito al MGP, ben 8 punti percentuali superiori rispetto all’ultimo trimestre del 2015, mentre il gas ha coperto il 49% delle vendite nazionali, 9 punti percentuali in più del Q3 2016 e ben 11 punti percentuali in più rispetto alle vendite registrate nell’ultimo trimestre del 2015. Nella zona Nord, gli impianti a gas hanno aumentato le proprie vendite in MGP del 46% rispetto al Q3 2016 e del 54% rispetto all’ultimo trimestre del 2015. Il gas non si è limitato a coprire il calo delle importazioni dalla Francia, ma anche il minore apporto dell’idrico e del solare nella zona Nord, che a fine 2016 hanno ridotto la propria generazione rispettivamente del 13% e del 3% rispetto allo stesso trimestre del 2015.

La sostituzione delle importazioni da nucleare francese con generazione a gas esterna e aumento delle vendite trainate da un incremento di esportazioni verso la Francia hanno avuto un impatto molto evidente sulle dinamiche dei prezzi zonali. Se, storicamente, è sempre stata la Sicilia a registrare i prezzi più alti, anche a seguito dell’entrata in funzione del cavo di interconnessione Sorgente-Rizziconi, nel Q4 2016 è proprio il Nord a registrare i prezzi più elevanti d’Italia, con una media di 58,5 €/MWh quasi 6 euro in più rispetto alla Sicilia e 8,5 €/MWh in più rispetto ai valori minimi registrati in Sardegna e nel Sud. I prezzi zonali rimangono, tuttavia, una proxy alquanto imprecisa della redditività delle diverse tecnologie, la cui generazione non si distribuisce uniformemente nell’arco delle 24 ore. Più utile guardare ai ricavi unitari realizzati da ciascuna fonte nel MGP, calcolati come il rapporto tra la totalità dei ricavi orari (awarded quantity * awarded price) e la produzione totale in una particolare dimensione geografica e temporale. In Figura 3 osserviamo, ad esempio, che solare, eolico, carbone e geotermico hanno realizzato nel Q4 2016 ricavi unitari inferiori al PUN, poiché concentrano la propria produzione nelle aree e nelle ore in cui il prezzo zonale risulta inferiore alla media nazionale. Idrico, Altre Fonti Tradizionali (AFT) e gas mostrano una redditività per unità produttiva allineata al PUN, ma con una forte variabilità geografica: nel MGP gli impianti a gas localizzati nella zona Nord hanno mediamente ricavato per la vendita di ciascun MWh 13 euro in più degli impianti a gas localizzati in Sardegna, 11 euro in più di quelli localizzati nel Sud e 6 euro in più degli impianti siciliani. La stima dello spark spread sulla base dei ricavi unitari del gas nelle diverse zone mostra che nel 2016 il gas in Italia ha mediamente registrato una marginalità positiva, ma con una ampia variabilità territoriale. Nel Q3 2016, i margini maggiori si sono registrati in Sicilia, mentre nel Q4 2016 nel Nord (Figura 4). Tali margini sono stati registrati a dispetto dell’aumento dei prezzi del gas nell’ultimo trimestre 2016: 18,0 €/MWh in ottobre, 19,6 €/MWh in novembre e 19,8 €/MWh in dicembre.

La ripresa dei prezzi è stata in parte sostenuta dalla crescita degli utilizzi nelle centrali termoelettriche, dall’incremento dei prelievi civili nella stagione invernale e dai consumi dell’industria che fanno segnare per tutto il trimestre un incremento superiore al 10%. Ai margini registrati nel MGP si devono poi aggiungere quelli realizzati nel MSD. Come notificato da Terna, i costi sostenuti nell’ultima parte dell’anno hanno determinato un incremento della parte dell’uplift del 1 trimestre 2017 relativa all’approvvigionamento delle risorse per il dispacciamento, da meno di 5,2 €/MWh a 8,1 €, un valore secondo solo agli 8,3 € registrati nel secondo trimestre del 2014. Tale aumento ha riguardato in particolar modo la zona Nord. Per concludere, le dinamiche osservate nell’ultimo trimestre del 2016 ci portano a guardare l’assetto organizzativo dei mercati sotto una nuova prospettiva. Se per Terna quella del capacity market rimane la via preferenziale per garantire nuovi investimenti necessari alla sicurezza del sistema, qualche operatore si interroga se la remunerazione al di fuori del mercato dell’energia (quella che garantirebbe il capacity market) sia così preferibile a quella conseguibile nel mercato. Alcuni osserveranno che quella del nucleare francese è una crisi congiunturale con effetti significativi, ma circoscritti ai tempi di manutenzione. E, in effetti, è improbabile che il picco di prezzo osservato a fine 2016 possa permanere per tutto il 2017, quando i reattori francesi rientreranno in piena funzione.

Ma sarebbe altrettanto erroneo non contestualizzare questa vicenda nella crisi ben più profonda e strutturale del nucleare in Europa sotto un profilo di accettabilità sociale, di costi crescenti di manutenzione, costruzione e ammodernamento, di modalità di finanziamento o dei clamorosi ritardi registrati rispetto ai tempi previsti di costruzione. Basti pensare alla linea tedesca nel post-Fukushima, alla centrale nucleare di Olkiluoto in Finlandia, al caso Hinkley Point in Gran Bretagna, e alla connessa decisione di EdF di cedere il 49% di RTE per far fronte alle difficoltà finanziarie legate alla gestione del nucleare.

Fonte: Stefano Clô – Staffetta Quotidiana