Rapporto Istat 2020, l’energia dopo la crisi Covid

L’analisi presentata a Montecitorio con l’impatto per il settore e le imprese, la proposta della strada “ambientale” per la ripresa e un focus sui sussidi dannosi e i comportamenti dei consumatori

Dopo il duro colpo della crisi sanitaria, a fine aprile l’energia ha mostrato un modesto recupero (+0,7 per cento) dopo la discesa dell’8,8 per cento di marzo. In una prospettiva di brevissimo periodo, le informazioni di maggio sui consumi di energia elettrica e quelli tratti dalle indagini sulla fiducia di famiglie e imprese “non colgono ancora la svolta dell’attività”. Si legge nel Rapporto Annuale Istat 2020 presentato questa mattina alla Camera dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, alla presenza del presidente della Camera Roberto Fico e del presidente del consiglio Giuseppe Conte. L’Istituto ha offerto un primo quadro statistico del Paese afflitto dalla pandemia, tuttavia indica una strada per la ripresa nel capitolo dal titolo “Criticità strutturali come possibili leve della ripresa: ambiente, conoscenza, permanente bassa fecondità” con un paragrafo sui sussidi ambientalmente dannosi.

Il settore energia nel suo complesso, per l’Istat, è tra quelli più colpiti sul fronte della liquidità: industrie energetiche e servizi di telecomunicazione, fornitura di energia, ingegneria civile e stampa sono stati i settori nei quali il deterioramento delle condizioni di liquidità dovuto al lockdown sembrerebbe più acuto. Per quanto riguarda la ripresa del tessuto industriale, l’Istat ha sottolineato l’importanza di vedere il quadro nel suo insieme, proponendo inoltre una “heatmap”, ovvero una mappa che identifica il grado di interconnessione tra filiere attraverso i colori. La prima zona a fortissima interconnessione riguarda il settore chimico-farmaceutico e della raffinazione di prodotti petroliferi nelle filiere della manifattura tradizionale e dell’agricoltura. Per queste zone a forte interconnessione, spiega il rapporto, passa una larga parte delle transazioni interne al sistema produttivo e si concentrano gli effetti di trasmissione più rilevanti; ciò evidenzia come la capacità di risposta del sistema produttivo nel suo complesso sia fortemente legata all’operare delle relazioni all’interno di un numero ristretto di filiere che, per molti versi, sembrano operare in maniera fra loro largamente disgiunta.

Il Covid-19, evidenzia Istat, tra la correlazione tra pandemia e inquinamento e la riduzione delle emissioni a seguito della sospensione delle attività produttive, ha visto anche l’ambiente al centro del dibattito, e l’ultimo capitolo del rapporto coglie l’occasione per focalizzare l’attenzione “su alcune criticità strutturali del sistema Paese”. Per l’Istat “Si tratta di questioni legate all’ambiente, all’istruzione e alla permanente bassa fecondità: problemi annosi, sui quali il dibattito pubblico legato a specifici aspetti della pandemia ha riportato l’attenzione” e che per l’Istat sono “questioni che meritano azioni e investimenti – sia pubblici sia privati – che a loro volta possono costituire una leva essenziale per il successo della ripartenza”.

L’analisi dei dati restituisce l’immagine di un Paese con performance positive in termini di riduzioni di emissioni, ma dovute prevalentemente alla contrazione dell’attività economica legata alla crisi attraversata nell’ultimo decennio e comunque insufficienti rispetto agli obiettivi europei finalizzati al contrasto del climate change. L’Istat non dà una ricetta sugli interventi migliori, ma affronta il tema della fiscalità e i sussidi ambientalmente dannosi nel paragrafo “L’energia sporca determinante di emissioni e la risposta fiscale”. Il gettito generato dall’imposizione fiscale sui prodotti energetici impiegati dai residenti e rilevanti per le emissioni è stato di oltre 29 miliardi nel 2017, in aumento del 13% rispetto al 2008. La quota di questa componente sul totale delle imposte ambientali sull’energia si è ridotta dall’80% al 63%, essenzialmente per effetto dell’aumento del gettito delle imposte sui consumi di energia elettrica. Nel 2017 le famiglie hanno corrisposto circa il 67% delle imposte sui prodotti energetici rilevanti per le emissioni, molto più di quanto pesino i loro impieghi di energia (31,7%). Il maggior contributo delle famiglie in termini di gettito è spiegato dalle esenzioni, o aliquote ridotte, di cui beneficiano alcuni comparti produttivi. Per i prodotti energetici “si tratta soprattutto di accise sui prodotti per trasporto, riscaldamento e processi industriali (è esclusa l’Iva)”. E punta il dito sugli sgravi: “Anche se l’uso dei singoli prodotti determina una diversa pressione sull’ambiente, ad esempio in termini di contributo alle emissioni, gli strumenti fiscali vigenti In Italia non sono modulati in modo da riflettere tali differenze”.

L’Istat parlando di ambiente affronta infine i comportamenti individuali ribaltando l’ipotesi di una fascia di popolazione giovane pronta a modificare i propri consumi di fronte all’emergenza ambientale. A fronte di una diffusa preoccupazione sui temi ambientali, i dati rilevati dall’“Indagine multiscopo sulle famiglie: aspetti della vita quotidiana” evidenziano comportamenti non sempre coerenti. L’andamento della preoccupazione per i cambiamenti climatici nel 1998 interessava il 36% degli intervistati ha raggiunto il 55,6% nel 2019. Ma se nell’indagine si rilevano diffusi comportamenti di attenzione agli sprechi (di acqua ed energia) e dunque finalizzati alla conservazione delle risorse naturali (il 67% dichiara di fare abitualmente attenzione a non sprecare energia, il 64,4% a non sprecare l’acqua), molto meno lusinghieri sono i risultati in merito alla scelta di mezzi di trasporto alternativi (18,7%) e all’uso di prodotti usa e getta (21,2%). L’attenzione a tenere comportamenti ecocompatibili inoltre non appare caratteristica precipua delle fasce giovani, anzi dopo i 25 anni le percentuali di coloro che adottano i comportamenti ecocompatibili analizzati risultano più elevate. Soltanto nella scelta di mezzi di trasporto alternativi i più giovani si distinguono nettamente per comportamenti virtuosi rispetto alle altre fasce di età. Le donne, infine, sono mediamente più attente a mantenere comportamenti di acquisto ecocompatibili rispetto agli uomini.

Fonte: Staffetta Quotidiana