Petrolio, lo tsunami di vendite continua dopo il lunedì nero

La caduta del petrolio Wti nel baratro delle quotazioni sotto zero sembrava un’aberrazione legata a questioni tecniche. Ma il mercato non si è placato dopo la terribile seduta di lunedì, la peggiore nella storia

Il famigerato future sul Wti per maggio, che era sprofondato di oltre il 300% fino a chiudere a -37,63 dollari al barile, si è un po’ ripreso nella sua ultima seduta di contrattazione, caratterizzata da volumi sottilissimi: il contratto – finalmente arrivato a scadenza – ha chiuso in terreno positivo, intorno a 10 dollari. Lo tsunami di vendite si è però trasferito su altri contratti, quelli più attivi, per consegna giugno, travolgendo non solo il Wti ma anche il Brent. Le quotazioni del greggio americano sono arrivate a perdere quasi il 70%, fino a un minimo di 6,5 dollari al barile, prima di recuperare intorno a 12 dollari, mentre il Brent è crollato sotto quota 20 dollari, riducendo il suo valore dicirca un quarto: una performance che preoccupa in modo particolare, visto che il riferimento internazionale non dovrebbe soffrire gli stessi problemi del Wti.

Il greggio del Mare del Nord si può caricare facilmente a bordo di petroliere e comunque la consegna fisica non è nemmeno indispensabile perché alla scadenza del future si può regolare la posizione in denaro. Molti operatori sono sconcertati di fronte alla violenza dei ribassi, vista l’assenza di sviluppi rilevanti sul mercato. C’è il sospetto di speculazioni sugli stoccaggi: mani forti che controllano lo spazio residuo nelle cisterne, soprattutto a Cushing, il punto di consegna del Wti, dove la capacità residua è poca ma non ancora inesistente.

Di certo è anomala – e degna di attenzione da parte dei regolatori – anche la presenza ingombrante di Etf come lo US Oil Fund, che ora è passato sul Wti di giugno, di cui controlla il 27% delle posizioni aperte. Martedì 21 l’Etf è stato brevemente sospeso al Nyse dopo che la Sec ha congelato la richiesta di emettere nuove quote: di fatto ora è un fondo chiuso. E rischia di saltare, avverte Eric Balchunas, analista di Bloomberg Intelligence, se il prezzo del Wti di giugno o di luglio finissero sotto zero prima del 5 maggio, quando il fondo ricomincerà il rolling, per spostarsi su scadenze successive.

Al netto di tutte le storture del mercato, è comunque innegabile che i fondamentali del petrolio siano ormai in condizioni disastrose, tanto che forse si è davvero arrivati al redde rationem: consumi troppo bassi e lontani dal riprendersi, offerta in calo ma tuttora troppo abbondante, benché i prezzi siano ormai intollerabili per qualunque compagnia. Il crollo sotto zero del Wti di lunedì 20 ha trascinato in negativo il valore di tutti i greggi estratti negli Stati Uniti – non solo lo shale oil, ma anche quelli convenzionali – e con il Brent che scambia a meno di 20 dollari il contagio dei prezzi negativi minaccia di estendersi anche fuori dal Nord America.

Per i produttori è allarme rosso, anche se la Casa Bianca e il Cremlino – adottando la stessa linea – hanno liquidato l’ultimo affondo del mercato come frutto di speculazioni di breve termine. «È una roba finanziaria e finirà tra poco», ha assicurato il presidente Usa Donald Trump, tornando però alla carica poche ore dopo con la proposta di aiuti di Stato alle compagnie petrolifere americane. Anche per il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov «il pandemonio con i futures è assolutamente speculativo e non c’è bisogno di dipingerlo con tinte apocalittiche». Ma intanto Mosca avrebbe ordinato ai produttori locali di organizzarsi per ridurre del 20% le estrazioni di greggio, secondo fonti Reuters.

Nell’Opec Plus si stanno intanto levando numerose (ma per ora inascoltate) voci a favore di un anticipo dei tagli rispetto al 1° maggio: ieri i ministri di alcuni Paesi «hanno tenuto una teleconferenza informale per confrontarsi sull’attuale drammatica situazione», ha fatto sapere l’Opec. Tra gli outsider si è invece rifatta viva la Norvegia: Oslo deciderà «presto» sul suo contributo ai tagli, ha dichiarato la ministra Tina Bru.

Fonte: Sissi Bellomo – Il Sole-24 Ore