La transizione energetica e la ribellione anti-élite

L’impegno delle grandi aziende, le reazioni di rigetto, le titubanze della politica

In Italia il cambio di paradigma è meno avvertito, perché le imprese di dimensioni significative sono relativamente poche e non ospitiamo la sede centrale di nessuno dei grandi operatori finanziari. Tuttavia, anche da noi, con ritmi e gradazioni diverse, il cambiamento è in corso. Lo testimoniano ad esempio la conversione green di Enel, l’analoga scelta compiuta da Edison e da alcune ex-municipalizzate, il radicale passaggio di Erg all’impegno esclusivo nella generazione rinnovabile, i più contenuti, ma sintomatici investimenti di Eni, in particolare nelle bioraffinerie. Anche il confronto tra i piani d’investimento di Terna che si sono susseguiti nel tempo, conferma la tendenza.

Si potrebbe obiettare che è stata costretta a farlo, perché lo impone il cambiamento di strategia delle utility elettriche, ma chi ha rapporti frequenti con il gestore della rete di trasmissione ha la netta sensazione di un convincimento autentico, largamente diffuso. Pochi giorni fa mi ha colpito l’incipit della relazione di Terna a un convegno, il cui tema principale era un altro. La prima slide era un’infografica, che metteva in evidenza gli effetti climatici sulla gestione della  rete, per sensibilizzare l’uditorio su un problema di cui ci si occupa troppo poco: l’adattamento al cambiamento climatico è la seconda gamba del percorso verso la decarbonizzazione.
Analogo l’atteggiamento di Snam, che ha cofirmato un position paper, del quale pertanto condivide l’obiettivo di arrivare a produrre 8 miliardi di metri cubi di biometano nel 2030. Date le loro dimensioni, non fanno notizia, ma anche in Italia si stanno costituendo fondi di investimento interamente dedicati al settore dell’efficienza energetica e delle rinnovabili. E non tutti sanno che Intesa San Paolo è da tempo uno degli sponsor della Ellen MacArthur Foundation, la decima più grande fondazione privata americana; che finanzia con circa 225 milioni di dollari all’anno progetti di Economia Circolare. Inoltre, Intesa San Paolo pubblica annualmente un pregevole rapporto sulla bioeconomia.

A livello internazionale va sottolineato l’impegno effettivo da parte di alcune oil & gas company. Total ha dichiarato che vuole spostare almeno un quinto dei suoi asset in progetti “low carbon” entro il 2035, e dalle parole è già passata ai fatti. Ha rilevato il 23% di Eren Re, società attiva nelle rinnovabili (con l’opzione di salire al 100% in cinque anni), Green Flex, che si occupa di efficienza energetica, e G2mobility, un operatore di colonnine di ricarica per auto elettriche. Anche la strategia di Repsol e Shell si è allargata al business della ricarica.
Naturalmente, per la maggior parte delle grandi aziende la conversione green è parziale e la compresenza di attività tradizionali, in molti casi ancora prevalenti, obbliga a compromessi, su cui si esercitano le facili critiche sia dell’estremismo ambientalista, sia dell’oltranzismo in difesa dei business tradizionali. Entrambi dimentichi di un dato biologico: la verginità è sterile.

Solo alcuni decenni fa la transizione green di un numero crescente di società industriali e finanziarie nelle nazioni democratiche avrebbe pesantemente influenzato l’orientamento delle forze politiche. Oggi si assiste addirittura a trend che vanno in direzione opposta: evidentissimi negli Stai Uniti, ma individuabili anche altrove.
Una sorte analoga ha avuto l’enciclica “Laudato sì”, malgrado il ripetuto richiamo all’ecologia integrale, un paradigma capace di tenere insieme fenomeni e problemi ambientali con altre questioni non meno importanti per l’uomo d’oggi. Francesco sottolinea infatti che non esistono “due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”.
Quando venne pubblicata, “Laudato sì” fu molto dibattuta sui media, senza però modificare in misura sensibile l’orientamento dei cattolici sul cambiamento climatico (lo stesso vale oggi per il tema dei migranti). Ricordo con emozione l’incontro di papa Francesco con i rappresentanti di associazioni attive nel contrasto al cambiamento climatico: il suo richiamo alla necessità di accelerare il processo di decarbonizzazione rifletteva anche l’angoscia per una sordità troppo diffusa.

Sono tutte conseguenze di un altro cambio di paradigma, denunciato da Thomas Chatterton Williams sul “New York Times” del 9 gennaio 2018: «il ripudio dell’esperienza e della competenza ha infettato la nostra società civile». Si tratta di comportamenti con cui si manifesta la diffusa ribellione a situazioni di insopportabili diseguaglianze economiche e sociali. Così, mentre in una diversa temperie storica il crescente interesse per lo sviluppo sostenibile da parte del mondo finanziario e industriale avrebbe certamente dato una mano a costruire una maggiore sensibilità per i problemi ambientali, oggi la sua provenienza dalle odiate élite tende a provocare reazioni di rigetto, che si riflettono sulle titubanze del mondo politico.

Fonte: Giovanni Battista Zorzoli – QE