La svolta verde

Fonti rinnovabili e meno risorse consumate L’Istat a sorpresa mostra una nuova Italia

Nell’Italia dei Verdi sempre sotto il tre per cento, abbondantemente sotto, e della legge nazionale sul consumo del suolo spostata in avanti ad ogni tentativo di calendarizzarla, si scoprono concreti risultati ambientali. Nel rapporto annuale 2019 l’Istat certifica che il consumo di risorse naturali utilizzate rispetto al Prodotto interno lordo si è dimezzato: meno 50 per cento tra il 2000 e il 2017. Nell’Italia dell’Ilva di Taranto e dei Pfas l’intensità energetica primaria si è ridotta del 13,1 per cento nell’ultimo decennio, ed è un bene perché “l’intensità” misura la non efficienza: più sale, più il Paese brucia risorse naturali. L’Italia tutta ha raggiunto il livello — non disprezzabile — del 17 per cento di consumi coperti da fonti rinnovabili (sole, vento, acqua). Siamo a metà classifica in Europa, ma abbiamo rispettato l’obiettivo fissato e precediamo Spagna, Francia, Germania, Gran Bretagna.

L’Istat, nell’Italia che esala diossine a ogni deposito di rifiuti speciali bruciato — duecentosessanta contati tra il 2015 e il 2018 —, segnala altri risultati confortanti sul piano ambientale. La decarbonizzazione del Paese sta avvenendo sul serio: il rapporto tra emissioni di CO2 e valore aggiunto nel 2017 ha raggiunto il minimo storico. Tra otto anni, lo dice il Piano nazionale dell’energia e del clima, rinunceremo alle ultime “carbon industries”. Sempre nel 2017 il valore delle “ecofabbriche”, che pure non usufruiscono di alcun sconto ambientale, è pari a 36 miliardi di euro. È il 2,3 per cento del Pil, la crescita è superiore alla media europea. Infine, sottolinea l’Istituto nazionale di statistica, tra il 2014 e il 2017 sono progressivamente aumentate la quota dei prodotti biologici e quella dell’efficienza energetica nel settore costruzioni.

Gli ambientalisti di lungo corso spiegano che alcuni di questi primati sono nel cromosoma di un’Italia con scarse materie prime (e quindi pronta a riciclare): a Prato, per tradizione, si sono industrialmente specializzati negli stracci, in provincia di Lucca nella carta, a Brescia nei rottami. L’Italia si afferma quando la sua industria alza la qualità: siamo il primo esportatore di biciclette nel mondo, per dire. Ermete Realacci, che nell’ultima legislatura ha vinto la battaglia parlamentare sul divieto ai cotton fioc non biodegradabili, sostiene che anche un gigante come Enel, spesso attaccato, ha preso la strada del futuro sostenibile: «Oggi è il più grande produttore mondiale di energia rinnovabile. Una scelta obbligata se si vuol stare sul mercato».

La politica non ha aiutato molto l’impronta ecologica del Paese, soprattutto negli ultimi dieci anni. Per ritrovare impianti legislativi che giustifichino questi risultati verdi serve rifarsi alla Direttiva europea Habitat, maggio 1992, per la tutela delle biodiversità. Da lì sono poi discese altre direttive e raccomandazioni (e pesanti multe) sull’aria, l’energia, i rifiuti. «Chi nel nostro Paese si dice ambientalista non può non dirsi europeo», chiude Realacci.
In casa nostra fondamentale è stata la Legge quadro sui parchi del 1991, la “394”, che ha sottratto al consumo residenziale e industriale sei milioni di ettari di territorio. E uno straordinario slancio al risparmio energetico è arrivato con il Conto Energia che dal 2005 al 2013 ha prodotto cinque piani di incentivi alle ristrutturazioni ecocompatibili (decisivo il primo Governo Prodi) proseguendo fino ai giorni nostri e filiando i contemporanei Sisma bonus ed Ecobonus.

Il Cresme, ricorda Angelo Bonelli coordinatore nazionale dei Verdi, ha calcolato che in dieci anni gli incentivi al cambio infissi e alle coibentazioni hanno sviluppato investimenti per 293 miliardi di euro e due milioni di posti di lavoro. Segnala, però: «L’ultima raccomandazione europea sul Piano nazionale dell’energia ci è arrivata due giorni fa, ed è critica». Il presidente della Camera, Roberto Fico, ieri alla presentazione Istat: «Il rilancio passa per una strategia di sviluppo e occupazione sostenibili e duraturi».

Fonte: La Repubblica